Corte Suprema di Cassazione - Sezione Lavoro - Sentenza n. 14285/2005

La Corte Suprema di Cassazione - Sezione Lavoro,
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
.........................omissis...................
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

INPS ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE DELLA FREZZA 17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO ALESSANDRO, NICOLA VALENTE, giusta delega in atti; - ricorrente -

contro

...omissis...

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 576/02 della Corte d'Appello di FIRENZE, depositata il 12/10/0 r.g.n. 541/01; udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 04/05/05 dal Consigliere Dott. Saverio TOFFOLI; udito l'Avvocato ROMOLI; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PIVETTI Marco che ha concluso per il rigetto.

Svolgimento del processo

La Corte d'appello di Firenze, con la sentenza meglio indicata in epigrafe, confermava la sentenza del Tribunale di Pistoia, appellata dall'INPS, con cui era stato riconosciuto il diritto di U.B. a conseguire, nella sua qualità di orfano di guerra, il beneficio della maggiorazione del trattamento pensionistico previsto a favore degli ex combattenti e assimilati, e riconosciutogli dall'INPS dall'aprile 1997, non già nella misura iniziale di lire 30.000 mensili prevista dall'articolo 6 della legge n. 140/1985, ma nell'importo maggiorato in base alle regole sulla perequazione automatica delle pensioni.

Ad avviso del giudice di appello non è condivisibile la tesi, sostenuta dall'istituto previdenziale, che la misura del beneficio rimane fissata in lire 30.000 anche per le pensioni riconosciute con decorrenza successiva dell'entrata in vigore della legge n. 140/1985, con la conseguenza che, relativamente alle stesse, rileverebbero, anche quanto alla misura dello stesso beneficio, solo gli incrementi percentuali delle pensioni, dipendenti dalla perequazione automatica, successivi alla data di decorrenza delle singole pensioni. Infatti questa interpretazione, non giustificata dal tenore letterale della normativa, tradirebbe la finalità perseguita di mantenimento nel tempo dell'adeguatezza delle prestazioni previdenziali, attuata con il meccanismo della perequazione automatica, in linea con la previsione costituzionale dell'articolo 38 della Costituzione.

Pertanto, per i trattamenti in questione il beneficio spetta non nella misura iniziale di lire 30.000, ma in quella nel frattempo aggiornata a seguito dell'applicazione del meccanismo perequativo.

L'INPS ha proposto ricorso per Cassazione, affidato ad un unico motivo. Il B. ha resistito con controricorso, poi illustrato da memoria.

Motivi della decisione

L'INPS denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 6 della legge 15 aprile 1985 n. 140, unitamente a vizio di motivazione.

Richiamato il tenore dell'art. 6 citato, sostiene che la maggiorazione di lire 30.000 ha decorrenza dalla data della relativa domanda ed ha effetti economici, per le pensioni "in godimento", dal 1 gennaio 1985 e, per i "futuri pensionati", dal mese successivo a quello di presentazione della domanda, con la conseguenza che il B., avendo conseguito la maggiorazione nell'anno 1997, può usufruire del meccanismo di perequazione automatica della medesima solo a partire dagli anni successivi al 1997.

Il ricorso è infondato.

L'articolo 6 della legge n. 140/1985, intervenendo a distanza di tempo dalla legge 24 maggio 1970 n. 336, ha avuto lo scopo, come si evince dal primo comma, di assicurare un beneficio pensionistico forfetario reversibile agli appartenenti alle categorie degli ex combattenti e assimilati che non avevano avuto modo di fruire di benefici a norma della legge del 1970 e successive modificazioni e integrazioni. La maggiorazione pensionistica è stata fissata in legge 30.000 mensili, ma il terzo comma precisa che la stessa è soggetta alla disciplina della perequazione automatica delle pensioni.

La tesi dell'INPS, secondo cui la rivalutazione annuale di tale maggiorazione può trovare applicazione per ogni interessato solo dopo che il beneficio è diventato attuale, con l'inizio dell'erogazione della pensione, non è condivisibile.

E' opportuno rilevare subito che l'interpretazione proposta dall'istituto assicuratore condurrebbe a risultati irrazionali e manifestamente lesivi del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Costituzione, poiché la maggiorazione pensionistica sarebbe corrisposta nello stesso anno in misura diversa ai vari pensionati a seconda dell'anno del pensionamento. Infatti, mentre i soggetti già pensionati nel 1985 fruirebbero di tutti gli aumenti garantiti anno dopo anno dalle norme sulla perequazione automatica i soggetti pensionati successivamente percepirebbero il primo anno la maggiorazione pensionistica in questione nella misura di sole lire 30.000 mensili, poi incrementata negli anni seguenti a partire da questo importo. Tale differenziazione non avrebbe alcuna ragionevole spiegazione e, in particolare, non troverebbe giustificazione neanche nel fenomeno - che può rendere costituzionalmente legittimi trattamenti differenziati a seconda dell'epoca del pensionamento di situazioni per il resto omogenee - della evoluzione nel tempo, migliorativa o peggiorativa, della disciplina normativa.

Peraltro il tenore letterale delle disposizioni di cui all'art. 6 non impone tale interpretazione. Il comma 3, infatti, recita: "la maggiorazione prevista dai precedenti commi è soggetta alla disciplina della perequazione automatica". E' vero che di norma la disciplina della perequazione automatica riguarda le pensioni in godimento, ma il suo richiamo a proposito della maggiorazione di lire 30.000 in questione consente di ritenere l'applicabilità del meccanismo rivalutativo alla cifra in questione in se stessa e, anzi, questa interpretazione è la più consona sia al tenore della disposizione, sia alla circostanza che è nel successivo comma 7 che, invece, è contenuta la disciplina dell'inserimento della maggiorazione nel trattamento pensionistico (con la specificazione che essa è parte integrante dello stesso, ma anche la previsione derogatoria del suo non assorbimento dall'integrazione al minimo e della sua non incidenza al fine di ritenere la pensione superiore al minimo).

Di conseguenza, ogni anno la maggiorazione deve essere, anche per i soggetti pensionatisi dopo il 1985, dello stesso importo applicabile agli assicurati che ne hanno fruito fin dall'anno della sua istituzione. Il ricorso deve dunque essere rigettato. Le spese del giudizio sono regolate in base al criterio della soccombenza (art. 91 c.p.c).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l'INPS a rimborsare alla controparte le spese del giudizio, determinate in Euro 15,00 oltre a Euro duemila per onorali, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2005. Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2005.

Ultima modifica il Martedì, 20 Marzo 2012 12:11

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